Emodialisi
In Italia, l’emodialisi è ancora oggi la metodologia notevolmente più praticata per purificare il sangue tramite un rene artificiale (la media nazionale si attesta addirittura intorno al novanta percento dei casi, contro il dieci percento circa di soggetti che ricorrono alla dialisi peritoneale). Come si accennava poc’anzi, nell’emodialisi il sistema di filtri è costituito da membrane artificiali, le quali si trovano in un macchinario posto al di fuori del corpo del paziente; proprio per questo è indispensabile creare una circolazione di sangue (misto a un liquido che favorisce l’efficacia dell’operazione) extracorporea. Per fa sì che il sangue, prelevato e immesso nell’apposito dispositivo in quantità, di volta in volta, decisamente limitate (al massimo il volume di un bicchiere), possa entrare nella circolazione artificiale e, a ciclo avvenuto, tornare nell’organismo, è necessario effettuare in via preliminare un piccolo intervento chirurgico sul paziente. Risulta indispensabile, difatti, generare un accesso a una vena e uno a un’arteria adiacente, solitamente situate nell’avambraccio del paziente: si parla, in proposito di “fistola arterovenosa”, generalmente realizzata in anestesia locale. Oltre alla fistola arterovenosa, sicuramente la più diffusa, esistono altri due tipi di accessi vascolari (ossia di punti ove posizionare gli aghetti con cui, rispettivamente, estrarre e reimmettere il sangue nel corpo), di cui ci si serve per circostanze particolari. In primo luogo, abbiamo gli innesti artificiali, che sono delle sottili protesi (di forma tubulare aventi la medesima funzione e aspetto esteriore delle vene) introdotte allorché i vasi sanguigni della persona siano troppo sottili o deboli per creare un’efficiente “fistola arterovenosa”. In secondo luogo, possono essere utilizzati i cateteri, degli speciali canali, di regola posti nella vena giugulare (situata sul collo), succlavia (dietro la clavicola) o femorale (nella zona inguinale), i quali possono essere più adatti per risolvere i casi di urgenza.
Nella maggior parte delle situazioni, il trattamento di emodialisi viene eseguito ancora presso dei centri specializzati, solitamente allestiti in strutture ospedaliere pubbliche o private. Negli ultimi decenni, tuttavia, si sta cercando di investire più risorse per incoraggiare la pratica dell’emodialisi domiciliare. Questa consiste nell’effettuare il trattamento a casa propria, con macchinari appositamente acquistati o noleggiati, con l’ausilio di una persona (di solito un parente, detto “partner” della terapia) che, dopo aver seguito un corso di addestramento tenuto da personale altamente specializzato (il quale in genere dura un paio di mesi), sia in grado di aiutare il malato a effettuare correttamente l’operazione. L’emodialisi domiciliare è assai vantaggiosa soprattutto in termini di migliore conciliabilità con le esigenze di vita socio-lavorativa del paziente. Il motivo per cui è ancora oggi poco praticata è da imputarsi prevalentemente al grande sacrificio di tempo, alla incondizionata disponibilità e reperibilità e a un grado minimo di attitudine (anche a livello emotivo) che deve essere garantita dal partner.
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